Tuesday, March 28, 2006

Iran #1

Sono partito per l’Iran quasi un mese fa con due cari amici, per me veri e propri fratelli: kami e sepideh. Ho lasciato ai giorni passati il coro dei telegiornali e dei giornali: l’Iran stava pian piano assumendo la forma di una bomba nucleare. Le parole poi si mischiano in un pastrocchio pericoloso: Islam diventa sinonimo di fondamentalismo, musulmano di terrorista e l’iran finisce per diventare solo una bomba nucleare, il nuovo nemico del mondo.
Marjane Satrapi scriveva su un numero di MicroMega: “Oggi l’informazione deve scioccare, altrimenti non attrae l’attenzione. Se si dice che in Iran ci sono persone che vivono una vita normale tutti se ne fregano. Ma se vi dicono: in quel paese sono tutti terroristi, vi vogliono uccidere, allora il discorso cambia.”
Tutto questo per dire che l’Iran non è solo Ahmadi-Nejad e la conservatrice casta dei mullah. Molta gente in Iran, la maggior parte, non si sente rappresentata dall’attuale governo islamico, non ne condivide la politica reazionaria e violenta di cui prima di tutto è vittima. Questo governo è stato votato da una minoranza della popolazione, il 25 %! Una grande parte si è astenuta dal votare, per disillusione, vista la mancanza di valide alternative: è il Consiglio dei guardiani della rivoluzione ad avere il diritto di veto sulle candidature alle elezioni presidenziali e parlamentari. Quello dell’Iran è un regime: l’ayatollah Khamenei e il presidente Ahmadi-Nejad hanno il potere ma non rappresentano l’Iran. Loro purtroppo se ne stanno dalla parte sicura del coltello, quella del manico. Per le strade di Tehran mi è capitato di leggere un forte senso di stanchezza e tensione nei visi della gente, la fatica di una fetta di popolazione in crescita che non ha lavoro, che non riesce a campare, la frustrazione nel sentirsi controllati ed osteggiati. I ritratti di Khomeini e Khamenei poi non danno tregua e quando meno te li aspetti te li ritrovi davanti, come torri di guardia.
Le donne hanno una vita difficile sotto il regime teocratico dei mullah, sono considerate la causa principale delle anomalie della società. L’8 marzo, sfidando le minacce del presidente Ahmadi-Nejad, gruppi di donne si sono riunite nel parco Lalèh e nel parco degli Studenti di Tehran per rivendicare i propri diritti. La polizia ha represso con forza le manifestanti. Con un morso allo stomaco ho ricevuto la notizia che la poetessa Simin Behbahan è stata picchiata da un gruppo di miliziani islamici. Come scrive sempre Marjane Satrapi nell’articolo che citavo prima:”Il problema nel mio paese non è quello del velo, ma quello dei diritti umani”.
Rischiando di essere investito dalla calca di automobili, autobus e moto ho preso diversi taxi, veri e propri amplificatori di quello che accade intorno (li chiamerei “cartine tornasole della società”) e attraverso varie conversazioni ne è emerso un Paese che sogna uno stato libero, democratico e laico, tollerante. Come attraverso le chiacchierate con alcuni coetanei e amici: si aspettano tutti una trasformazione radicale che restituisca loro un futuro, una storia possibile. Quelli che possono se ne vanno in altri paesi (chi in Canada, chi in Francia, Spagna…) per non abbandonare le proprie ambizioni, gli altri sognano un cambiamento e soffrono l’impotenza di trasformare il loro disagio: l’assalto feroce compiuto nel luglio del 1999 dalle forze di sicurezza islamiche nei dormitori dell’università rappresenta tutt’ora un chiaro monito. In Iran il 70% della popolazione ha meno di 30 anni (proprio il contrario dell’Italia!) ed è una fetta sociale su cui il governo esercita una forte repressione. Inoltre il 70% dei tossicodipendenti ha un’età compresa tra i 20 e i 40 anni: un numero enorme di ragazzi che dovrebbe essere la forza di trasformazione del paese e che invece pericolosamente svanisce… alcuni si domandano se possa essere anche questa una strategia del governo islamico per tenere a bada le teste che potrebbero scatenare una rivolta.
Un’eventuale attacco militare esterno di cui si parla da tempo, poi, non farebbe che aggravare maggiormente la situazione. Tutte le persone con cui ho parlato credono e sperano in una risoluzione pacifica. I persiani, per esperienza, sanno che la guerra non è la soluzione giusta e soprattutto sono stanchi di vedere altro sangue versato. Una guerra sicuramente non agevolerebbe uno sviluppo del Paese, ma le guerre le decidono sempre quei pochi che stanno dalla parte sicura del coltello, quella del manico. E tra i coltelli, in mezzo, dalla parte pericolosa e scomoda, quella delle lame, ci sta sempre la popolazione civile, l’anima che fa il paese e che in buona parte crede nei valori della pace e della libertà.

...mi rendo conto, praticamente non ho parlato del viaggio ma questo post è nato così... aspettate il prossimo!
nella foto in cima Kami e Sepideh festeggiano il loro breve ritorno in Iran.

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